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AUTISMO – Come sviluppare l’intersoggettività

L’intersoggettività è un insieme di comportamenti sociali ben coordinato di atti motori, cognitivi ed emotivi che appare nello sviluppo infantile. I bambini con autismo o con disturbi della socialità e della comunicazione hanno maggiori difficoltà nello sviluppo di comportamenti che costituiscono l’intersoggettività sia primaria che secondaria, possono non comparire, comparire in ritardo o in forma deviata. Nell’autismo questi comportamenti non funzionano quasi mai come motivazione intrinseca, cioè non vengono cercati per il piacere che danno o per suscitare in altri espressioni di emozioni positive o di fastidio. Ogni bambino si inserisce in questo scenario in modo personale, alcuni bambini possono essere capaci di un iniziale scambio di turni, altri possono avere una buona capacità di espressione delle emozioni.

Una valutazione attenta del bambino in queste aree sociali può riservare, oltre alla constatazione del deficit, la piacevole scoperta di elementi positivi da incrementare.  Ai genitori è dato il primo compito, la strada che parte dal riconoscimento di singole abilità e singoli comportamenti che possono essere insegnati. In questa sede desideriamo soffermarci sui due approcci possibili: l’approccio interattivo e l’insegnamento programmato.

L’approccio interattivo pone al centro la libera interazione con il bambino con problemi di sviluppo, con difficoltà in campo sociale e comunicativo e che mostra difficoltà di gestione, con crisi di rabbia. Immaginiamoci in un ambiente sereno. In un primo momento l’obiettivo sarà quello di osservare ciò che il bambino fa spontaneamente, cercando di notare, ed annotare, quello che fa più spesso, valorizzando le sue azioni con la presenza, l’approvazione e la vicinanza. Potrebbe essere rimarcato con le parole quello che fa con il significato di tale azione, modellando e proponendo delle modifiche al comportamento per avvicinarlo a poco a poco a ciò che vogliamo che facesse.

I vantaggi di questo approccio sono molti, seguendo gli interessi del bambino, viene utilizzato il tempo per svolgere delle attività piacevoli, senza conflitti ed è più probabile che il bambino sia motivato ad imparare. In questo caso l’apprendimento avviene gradualmente poiché il bambino seguirà pian piano con fiducia il modello dell’adulto accettando di provare nuove esperienze, determinando un apprendimento stabile nel tempo. Inoltre, non avendo esercitato alcuna pressione sul bambino, si crea una situazione di agio che fa emergere le capacità e abilità, evitando che il bambino vada in auto protezione rifiutando il modello proposto.

Il secondo approccio che vi proponiamo è l’insegnamento programmato che prevede un lavoro propedeutico di analisi dei dati.

Dopo un’attenta valutazione occorre individuare le abilità presenti in modo sufficiente, in modo saltuario, in modo insufficiente o totalmente deficitarie e, infine, individuare i comportamenti che si rilevano disturbanti come le stereotipie e l’aggressività. Successivamente occorre fare un piano di priorità, decidendo quali abilità volete insegnare e classificare i comportamenti in obiettivi e bersagli, da insegnare e incrementare i primi e da diminuire ed estinguere i secondi.

I vantaggi di questo approccio sono molteplici: l’uso del tempo e delle energie sono finalizzati alle reali necessità di apprendimento del bambino, diminuiscono i comportamenti pericolosi e negativi per la relazione adulto-bambino, infine quando il bambino comincia ad apprendere e ad utilizzare ciò che ha appreso, si instaura un circolo virtuoso di motivazione intrinseca.

Entrambi gli approcci possono essere utilizzati singolarmente o in unione tra loro, ma sempre con molto rigore e flessibilità.

Valentina Cinà – Insegnante di sostegno

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